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Titoli disponibili

ORDINE E LIBERTÀ

15,00

Fra i tanti scritti che, nel periodo direttoriale, s’interrogano sulla Rivoluzione francese e sul nuovo ordine politico da essa introdotto, un posto centrale occupano i due testi – il primo dei quali inedito in Italia – qui pubblicati sotto il titolo Ordine e libertà. In diretta polemica reciproca, il Des causes de la révolution et de ses résultats di Adrien Lezay-Marnésia e il Des effets de la terreur di Benjamin Constant rappresentano le due risposte paradigmatiche alla grande alternativa della politica post-rivoluzionaria: quella, appunto, fra ordine e libertà. Il testo di Lezay – noto agli specialisti, benché mai più ripubblicato dal 1797 – difende le ragioni dell’ordine: ma lo fa ricorrendo ad argomenti di Realpolitik che sfociano in una sorta di giustificazione del Terrore. Il testo di Constant – assai più noto del precedente, benché spesso più citato che letto – difende invece le ragioni della libertà: ma lo fa ricorrendo ad argomenti di principio sulla cui base qualsiasi giustificazione del Terrore diviene impossibile. Si realizza così, tra le posizioni dei due autori, uno scambio esemplare dell’ambiguità connaturata alla politica post-rivoluzionaria: è infatti il moderato Lezay a giustificare la necessità del Terrore, mentre è il progressista Constant a condannarlo senz’appello.

MORIRE PER LA LIBERTÀ

14,00

EPITAFFI ATENIESI TRA V E IV SEC. A. C.

L’epitaffio è il discorso della città su se stessa, la modalità in cui la classe politica ateniese si è raffigurata come realizzatrice della libertà e della bellezza. Il genere letterario dell’epitaffio, celebrando la superiorità etico-politica di Atene, rappresenta – nella forma dell’elogio di coloro che sono morti per la libertà della polis – l’invenzione stessa dell’immagine di Atene che per secoli si è trasmessa in modo immutabile. Attraverso tutti gli epitaffi superstiti – di Pericle (nella versione di Tucidide), di Lisia, di Platone (il Menesseno), di Demostene e di Iperide – ritradotti e presentati per la prima volta unitariamente, il lettore potrà abbracciare un arco di tempo che va dal 429 al 322 a.C.: la parabola che accompagna Atene dalla guerra del Peloponneso sino alla linea d’ombra dell’egemonia macedone, e che ci consegna l’immagine classica della libertà politica.

DISCORSO SULLA SERVITÙ VOLONTARIA

15,00

Il Discorso sulla Servitù volontaria di Etienne de La Boétie inaugura, all’alba del pensiero politico moderno, la critica del dominio, ponendo una domanda che inquieta e travaglia la stessa forma politica: come possono gli uomini combattere per la propria servitù come se si trattasse della propria libertà? Come possono volere obbedire allo Stato? È il nostro tempo – che ha conosciuto il tragico rovesciarsi delle lotte contro l’oppressione in una nuova forma di totalitarismo burocratico e che sperimenta sempre nuovi tentativi totalitari – a poter cogliere appieno il cuore segreto del Discorso di La Boétie, ossia la denuncia che l’ambizione dello Stato moderno non è di controllare a distanza le dinamiche sociali, ma precisamente di codificarle, ridefinirle, disciplinarle. Solo oggi si può capire il messaggio di La Boétie, che individua nelle stesse logiche profonde dello Stato moderno – la volontà di rappresentazione, l’attrazione dell’eterogeneo nella logica dell’omogeneo, la riduzione dell’Altro al Simile – il fondamento del desiderio di servitù. Sono questi i motivi che rendono di straordinaria attualità questa riproposizione di un classico, per la prima volta tradotto sulla base delle più recenti edizioni critiche.

INTRODUZIONE ALLA POLITICA

14,50

Con Introduzione alla politica Harold J. Laski, autorevole protagonista della scena inetellettuale di lingua inglese del primo Novecento, guarda con straordinaria lucidità alla crisi della dottrina della sovranità dello Stato, e affronta i temi principali del pluralismo democratico, riaffermando l’associazione come strumento capace di permettere agli individui di esprimere la propria libertà politica e sociale. La riscoperta del pensiero di Laski, cui né il prestigio accademico né il rilievo politico erano valsi ad evitare immeritato oblio, si rivela di sorprendente attualità nell’epoca della globalizzazione. L’autore si oppone alla concezione dello Stato quale unico soggetto della politica un modello di società costituito da più gruppi o centri di potere, non necessariamente in accordo fra loro, ai quali viene demandato il compito di limitare o di contrastare alla concentrazione della sovranità caratteristica dello Stato moderno. Oggi, quando è ormai consumata la dissolvenza di quel venerabile «fantasma» che è stato la dottrina della sovranità, l’insegnamento di Laski può conoscere una nuova vitalità e aprire la strada a auna convivenza libera, pluralista e articolata.

LA LIBERTÀ

15,00

Di grande rilievo dal punto di vista storico, in quanto costituisce un luogo privilegiato per intendere il mutamento degli assetti categoriali e della strategia politica del liberalismo tedesco dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848, questo testo giovanile del futuro autore della Politik si presenta altresì ricco di suggestioni teoriche. Muovendo da un serrato confronto con i punti più alti del pensiero politico europeo a lui contemporaneo (in particolare John Stuart Mill), Treitschke giunge a criticare la concezione liberale classica della libertà e la dottrina – sostenuta anche da Wilhelm von Humboldt – che vede nello Stato un male necessario. Ma il luogo centrale del testo, quello in cui più strettamente si connettono interesse storico e suggestioni teoriche, è la rivendicazione polemica della libertà contro l’uguaglianza. Da una parte troviamo qui infatti una chiara formulazione dell’esigenza che il liberalismo del «ceto medio» si differenzi dalle rivendicazioni dell’emergente proletariato; dall’altra, la distinzione concettuale di libertà e uguaglianza impegna Treitschke in una serrata argomentazione (che riprende quella di Tocqueville) sul rischio di una «tirannia dell’opinione pubblica», di una «tirannia sociale della maggioranza».

LE LIBERTÀ FONDAMENTALI

14,00

Questo dialogo fra un grande giurista e un grande filosofo riguarda una difficoltà presente nella concezione neocontrattualistica elaborata da John Rawls a partire da Una teoria della giustizia, vale a dire il problema dell’applicazione pratica delle libertà fondamentali in una società liberaldemocratica bene ordinata. Posto che tale applicazione – come sostiene Rawls – può aver luogo solo quando le condizioni sociali permettono il concreto svolgimento di tali diritti, non è immediatamente chiaro – obietta il giurista Herbert L. A. Hart – in base a quali meccanismi le condizioni favorevoli, dal punto di vista socio-economico, implichino l’effettiva applicazione per tutti, e in primo luogo per i più svantaggiati, proprio di quelle che Rawls chiama «libertà fondamentali». Le obiezioni di Hart e la lunga risposta di Rawls contribuiscono a chiarire questa aporia fondamentale delle società che tentano di coniugare diritti individuali, norme di giustizia e interventi correttivi delle proprie strutture.

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