Il Discorso di Logrogno e i due Discorsi sul governo dei Medici attraversano un crinale decisivo della storia di Firenze: il passaggio (settembre 1512) dalla repubblica del Consiglio Grande, ai suoi esordi influenzata dalla predicazione savonaroliana, al principato mediceo, ormai sempre più avviato verso una prassi assolutistica, assai diversa da quella di Lorenzo il Magnifico. La riflessione guicciardiniana è poi segnata non solo dalla catastrofe istituzionale della sua città , ma anche dalla inedita e apocalittica tragedia delle guerre d’Italia. Occasionati da queste due crisi, i tre discorsi di Guicciardini tracciano le linee fondamentali del suo pensiero politico, fino al Dialogo del reggimento di Firenze. Riflettendo su categorie politiche basilari, quali esperienza e ragione, ordine e passioni, tradizione e innovazione, Guicciardini prospetta una equilibrata sintassi amministrativa, che si vuole lontana sia da pretese meccanicistiche sia da derive nichilistiche. È, la sua, una proposta di libertà moderata, ossia regolata dai «savi». Questi, esercitati nella «bottega» della politica, rappresentano il «timone» della città , ne «curano» il disordine e la preservano sia dalla sedizione principesca sia dalla libertà popolare, in una prospettiva di stabilizzazione oligarchica ben lontana dagli orizzonti eroici e democratici che affascinavano, invece, Machiavelli.